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CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLE FINANZE

 

del 10 agosto 1959, n. PO 14536/3/59

 

In riferimento alla circolare del 25 febbraio 1959, n. PO 1694/3/59, il Ministero delle finanze, d’intesa con l’Ufficio per gli affari ecclesiastici, precisa che per le persone ecclesiastiche di altre confessioni al di fuori di quella cattolica, le norme orientative delle entrate elencate nella lettera circolare citata, possono avere importanza pratica soltanto nei casi in cui il numero dei fedeli di un dato culto in una data parrocchia non differisca, inizialmente, dal numero degli abitanti compresi nell’ambito di attività della parrocchia stessa. Negli altri casi, gli organi finanziari, in seguito a previo accordo con gli uffici per gli affari ecclesiastici, devono stabilire l’importo delle entrate sulla base delle dichiarazioni degli ecclesiastici di queste confessioni.

Nei culti in cui i fedeli non sopportano spese per i servizi religiosi (jura stolae) e gli ecclesiastici rimangono nella parrocchia in base ad un contratto di lavoro ricevendo a questo titolo una retribuzione fissa mensile, questa retribuzione è soggetta all’imposta sulle retribuzioni ed è considerata come spesa di funzionamento della parrocchia.

 

CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLE FINANZE CON PRECISAZIONI SULLE IMPOSTE A CARICO DELLE PERSONE GIURIDICHE ECCLESIASTICHE

 

del 10 agosto 1959, n. PO 14532/3/59

 

In relazione ai dubbi che possono sorgere in ordine alla tassazione delle persone giuridiche ecclesiastiche e religiose, il Ministero delle finanze, in riferimento alla sua lettera circolare del 25 febbraio scorso precisa:

I

 

1. - Soggetti di imposta per la tassazione delle persone giuridiche ecclesiastiche e religiose sono, per quanto attiene le persone giuridiche ecclesiastiche: parrocchie, diocesi e seminari ecclesiastici diocesani e, per quanto riguarda gli ordini religiosi: comunità religiose, curie provinciali e conventi.

2. - Sono costi di funzionamento della parrocchia considerata persona giuridica: le spese per le retribuzioni degli addetti (servizio di chiesa) utilizzati nella parrocchia in base ad un contratto di lavoro (ciò non riguarda evidentemente parroci e vicari), le spese per il mantenimento della cancelleria parrocchiale, ecc., i costi di amministrazione indispensabili per il normale lavoro parrocchiale. Le quote raccolte e trasmesse dalle parrocchie per il mantenimento dei seminari ecclesiastici e dell’Università cattolica di Lublino devono essere dedotte come somme in transito al momento dello accertamento del reddito della parrocchia. La stessa disposizione riguarda le somme raccolte e trasmesse dalle parrocchie per conto delle diocesi, in quanto queste somme — considerate in transito per la parrocchia — saranno comprese nella tassazione della diocesi.

Sono costi di funzionamento della diocesi considerata persona giuridica le spese per le retribuzioni degli amministratori della diocesi e del clero rappresentati dal personale amministrativo della Curia (emolumenti), le retribuzioni degli impiegati non ecclesiastici utilizzati nella Curia in base a contratto di lavoro, le spese per la manutenzione degli uffici, riscaldamento, luce, ecc., le spese amministrative indispensabili per il regolare funzionamento degli uffici della Curia. Le dotazioni concesse dalle diocesi alle parrocchie per le riparazioni delle chiese rappresentano una destinazione del reddito per scopi di culto religioso, come specificato nell’art. 2, comma 2 del decreto per l’imposta sull’entrata.

Le somme concesse dalle diocesi per il mantenimento dei seminari diocesani ecclesiastici non sono costi di funzionamento della diocesi. Esse non costituiscono neppure — come è stato già spiegato nella lettera circolare del 25 febbraio scorso — una destinazione del reddito per scopi direttamente di culto religioso. Poiché le singole dotazioni delle diocesi per i seminari rientrano nella imposta a carico del seminario, vanno considerate, nella diocesi come spese in transito e pertanto non incluse nel reddito della diocesi stessa.

Determinando l’ammontare delle entrate del seminario, occorre prendere in considerazione, nel complesso delle entrate, anche i versamenti eseguiti dagli alunni.

I costi di funzionamento del seminario diocesano ecclesiastico, considerato come persona giuridica, sono rappresentati dalle retribuzioni dei professori, le spese per la manutenzione delle aule scolastiche, per l’assistenza scolastica e per gli stipendi degli impiegati amministrativi (ivi compreso il clero), utilizzati in base a contratto di lavoro, nonché le spese indispensabili per il normale funzionamento dell’istituto di insegnamento. Le spese per il mantenimento degli alunni non sono né costi di funzionamento del seminario né costituiscono una destinazione del reddito per gli scopi fissati nell’art. 2, comma 2 del decreto per l’imposta sull’entrata.

Queste spese di mantenimento sono soggette a tassazione, benché su domanda del seminario, possono essere concesse, in casi motivati, delle riduzioni nel pagamento della tassa in forma di diminuzione di una sua quota, che dovrebbe venir detratta dalle somme spese per il mantenimento degli alunni, dopo aver detratto i versamenti da loro stessi effettuati. Possono anche essere concesse delle proroghe di pagamento e in casi particolari l’imposta può anche venir annullata.

Le domande dei seminari per una riduzione della tassazione devono essere in-dirizzate, in via di servizio, al Ministero delle finanze, che emanerà le opportune disposizioni.

3. - I principi enunciati nel par. 2 che si riferiscono ai seminari ecclesiastici diocesani, non hanno valore per i seminari degli ordini religiosi, che sono privi di personalità giuridica. Le spese sostenute dagli ordini religiosi per il mantenimento di tali seminari non rappresentano costi di funzionamento dell’ordine stesso, né costituiscono una destinazione del reddito per scopi direttamente connessi al culto religioso. L’effettuazione di simili spese da parte dell’ordine religioso produce la tassazione dei redditi dell’ordine stesso con l’imposta sull’entrata.

Nel caso in cui il sostenere le spese per il seminario dell’ordine religioso rappresentasse la sola causa di tassazione delle entrate dell’ordine stesso, allora si possono analogamente utilizzare le indicazioni comprese nel par. 2, riguardanti i principi e le forme di concessione di eventuali riduzioni di pagamento.

4. - Le prescrizioni dell’art. 2, comma 2 del decreto per l’imposta sull’entrata, che elencano i diversi scopi per i quali dovrebbero essere destinate le entrate delle persone giuridiche per osservare le condizioni di esenzione dall’imposta sull’entrata, non devono essere interpretate nel senso che le persone giuridiche ecclesiastiche e religiose possano destinare i redditi per tutti gli scopi menzionati in questo caso.

La condizione di esenzione dall’imposta in base all’art. 2, comma 2 del decreto per l’imposta sull’entrata, è fornita dalla destinazione dell’intero reddito per quei scopi ai quali la persona giuridica rispettiva è chiamata.

In particolare, se si tratta di persone giuridiche ecclesiastiche, allora la condizione per l’esenzione delle parrocchie e delle diocesi è la destinazione dei redditi, interamente e direttamente, per quei scopi di culto religioso definiti nella lettera circolare del Ministero delle finanze del 25 febbraio 1959.

A completamento delle condizioni previste nell’art. 2 c. 2 del decreto per l’imposta sull’entrata, oltre alla destinazione dei redditi per scopi di culto religioso, può anche aversi, da parrocchie e diocesi, la destinazione dei redditi per scopi di comune utilità (per es. costruzione di scuole, lotta contro l’alcoolismo, ecc., scopi che il Presidium del Consiglio popolare ha riconosciuto come scopi di pubblica utilità) e per scopi di beneficenza e di assistenza sociale, se una tale attività è svolta in forma organizzata e in conformità alle prescrizioni statali vigenti.

Negli ordini religiosi, a completamento delle condizioni previste dallo art. 2, comma 2 del decreto per l’imposta sull’entrata, oltre alla destinazione dei redditi per scopi di culto religioso, può aversi anche una destinazione dei redditi per scopi di istruzione, di beneficenza e di assistenza sociale, se l’ordine religioso realizza questi scopi in forma organizzata e in conformità alle vigenti disposizioni statali (per es. del Ministero del lavoro e dell’assistenza sociale).

Le somme spese dalle persone giuridiche ecclesiastiche o dagli ordini religiosi per aiuti e sussidi individuali a determinate persone, non possono venire considerate come spese sostenute per scopi di beneficenza e di assistenza sociale nei termini dell’art. 2, comma 2 del decreto.

5. - Le somme trasmesse dalle diocesi alle parrocchie per la riparazione di chiese, vanno considerate come destinazione del reddito per scopi di culto religioso.

6. - Le spese per la conservazione dei monumenti, sia propri che statali, eseguite d’intesa con le competenti autorità, vanno detratte dal reddito delle persone giuridiche ecclesiastiche o degli ordini religiosi.

7. - Se la tassazione della persona giuridica ecclesiastica (per es. la diocesi) è stata eseguita solo su una parte del reddito usata per la costruzione, ricostruzione o ampliamento delle chiese o per l’adattamento di edifici per scopi sacri, l’imposta sull’entrata deve essere calcolata sull’intero reddito e se la persona giuridica ecclesiastica presenterà domanda per ottenere una riduzione del pagamento o l’annullamento dell’imposta, tale domanda, insieme agli atti in questione e alle proposte del Presidium del Consiglio popolare, deve essere trasmessa al Ministero delle finanze.

8.- Le somme spese per il mantenimento dei religiosi rappresentano un reddito soggetto a tassazione in quanto questi non sono costi di funzionamento della persona giuridica, né spese per scopi di culto religioso. Se i religiosi, sono utilizzati da altre persone al di fuori dell’ordine religioso e a questo titolo ricevono retribuzioni che vengono passate all’ordine religioso, allora queste retribuzioni vanno comprese fra le entrate degli ordini religiosi. In questo caso il sostenere da parte dell’ordine religioso le spese per il mantenimento dei religiosi, anche se essi non lavorano, non provoca — nei limiti delle somme versate all’ordine religioso da parte dei religiosi che lavorano — la decadenza da parte dell’ordine religioso delle condizioni per la esenzione dall’imposta sull’entrata, stabilita nell’art. 2, comma 2 del decreto. Se invece, le spese per il mantenimento dei religiosi superano le somme delle entrate procurate dai religiosi che lavorano, allora — come base imponibile per l’imposta sull’entrata — si assumono le spese di mantenimento eccedenti le somme versate dai religiosi che lavorano.

Sono anche soggetti a tassazione i redditi degli ordini religiosi contemplativi destinati al mantenimento dei religiosi con la precisazione che, in casi motivati e su domanda dell’ordine religioso, si possono concedere riduzioni del pagamento dell’imposta, o anche l’annullamento parziale o totale della imposta stessa.

9.- Nell’accertamento delle imposte delle diocesi, gli ordini di pagamento devono essere emessi sulla diocesi stessa.

II

Nel corso dell’accertamento della base imponibile per l’imposta sugli immobili e sui locali destinati a immobili delle persone giuridiche ecclesiastiche e religiose, bisogna osservare le seguenti indicazioni:

1.- Per gli edifici o per loro parti non affittate, la base imponibile (valore d6i fitto) va stabilita secondo il modo di utilizzazione dell’edificio o di una sua parte, in base alle apposite tariffe di affitto previste nelle prescrizioni di affitto, e cioè:

a) per gli edifici o per loro parti, utilizzati per uffici, cancelleria di curia, parrocchie e seminari, locali scolastici, locali destinati a officine, laboratori e stabilimenti di ogni genere, la base imponibile va determinata in relazione al reale modo di utilizzazione dell’edificio o di una sua parte, secondo le tariffe fissate nelle apposite tabelle allegate all’ordinanza del Consiglio dei Ministri del 25 luglio 1958. Per locali di uso bisogna considerare anche le pensioni (alloggi degli alunni nei seminari, pensionati gestiti da ordini religiosi), e pertanto il valore del fitto degli edifici o di una loro parte, destinati a questo scopo va stabilito secondo le tariffe di fitto, definite nella tabella n. 8, prevista nell’ordinanza del Consiglio dei Ministri del 20 dicembre 1958;

b) per edifici o per loro parti destinati ad abitazione, in linea di principio bisogna determinare la base imponibile secondo le tariffe di fitto definite nelle tabelle n. 1 o 2 allegate al decreto sull’affitto dei locali. Fra gli edifici delle persone giuridiche ecclesiastiche destinati ad uso di abitazione, bisogna comprendere i locali occupati da abitazioni del clero, non esclusi i vescovi. Tra gli edifici occupati dagli ordini religiosi per uso abitazione, bisogna comprendere anche i locali comuni utilizzati dai religiosi, come refettori, mense, cucine, ecc. Se invece la fonte di mantenimento dell’ecclesiastico che abita nell’edificio, o della persona giuridica ecclesiastica o religiosa, è rappresentata solo dalle entrate soggette alle disposizioni per l’imposta sulle retribuzioni, la base imponibile per quella parte di edificio o locale occupato dalla persona in questione va determinata nella misura prevista dall’art. 4 del decreto sull’affitto dei locali. Ciò si può comunque avere solo nei casi in cui fonti di mantenimento dell’ecclesiastico sono le entrate soggette all’obbligo dell’assicurazione sociale e questa persona non ottenga altre entrate soggette all’imposta di ricchezza mobile e alla imposta sull’entrata, oppure alla sola imposta sull’entrata. Bisogna analizzare singolarmente se si verificano le condizioni necessarie per usufruire, da parte dell’ecclesiastico della riduzione del fitto secondo l’art. 4 del decreto sull’affitto di locali. In questi casi, pertanto, nel corso dell’accertamento della base imponibile per l’imposta sugli immobili, bisogna calcolare l’aumento del fitto per l’eccedenza della superficie di abitazione rispetto alle norme di densità, vigente in un determinato luogo, oppure, nei luoghi in cui non sono state fissate norme di densità, non superiore ai 10 mq per persona.

Se i locali di abitazione sono occupati in comune (per es. negli edifici dei conventi) da persone la cui unica fonte di mantenimento è costituita dalle entrate soggette alle disposizioni dell’imposta sulle retribuzioni e che devono pagare il fitto secondo l’art. 4 del decreto sul fitto di locali, o da persone che devono pagare il fitto in base all’art. 2 del decreto, allora per la parte dei locali occupati dalle persone che pagano il fitto in base all’art. 4 del. decreto sul fitto dei locali, la base imponibile va calcolata sulla base delle tariffe di affitto dell’art. 4 del decreto stesso, e per la parte restante secondo le tariffe delle tabelle n. 1 e 2. La superficie della parte dei locali occupati dalle persone autorizzate al pagamento del fitto secondo l’art. 4 del decreto sul fitto dei locali va determinata proporzionalmente al numero di queste persone. Per determinare l’eccedenza in metri della superficie delle abitazioni, vanno assunte come base le norme di densità vigenti in un determinato luogo, mentre per i luoghi dove tali norme non esistono bisogna calcolare 10 mq per persona (art. 5, comma 3 del decreto sull’affitto dei locali), detraendo dalla superficie generale quella parte che — in base al § 3 dell’ordinanza del Ministro per gli affari comunali del 12 aprile 1958 sui principi di determinazione delle norme di densità negli appartamenti — non è soggetta all’inclusione nell’eccedenza della superficie abitabile;

c) se accanto agli edifici parrocchiali si trovano terreni utilizzati come poderi agricoli, soggetti a tassazione con l’imposta fondiaria, bisogna considerare legati al podere agricolo ed esenti dall’imposta sugli immobili, gli edifici strettamente economici, come stalle, porcili, pagliai e locali abitabili occupati da salariati addetti in questi poderi agricoli sulla base di un contratto di lavoro; invece, gli edifici anche solo parzialmente adibiti ad abitazione di parroci, vicari, ecc. non vanno considerati come uniti al podere agricolo, in quanto la principale attività di queste persone non è costituita dal lavoro della terra, bensì dal compimento di funzioni connesse con il culto religioso e gli edifici occupati e destinati fin dall’inizio alle parrocchie servono per scopi amministrativi e di abitazione del clero e non ai bisogni del podere agricolo.

Questi principi valgono anche per gli edifici occupati da comunità religiose, se accanto a questi edifici si trovano terreni legati al podere agricolo.

2.- Durante l’accertamento della base imponibile per l’imposta sui locali e per le imposte urbane, si usano in modo opportuno gli stessi principi validi per l’imposta sugli immobili, con la precisazione che:

a) per ciò che riguarda religiosi e religiose, l’obbligo di queste imposte ricade sull’ordine religioso (casa religiosa) e non sui singoli religiosi. Similmente bisogna procedere per l’imposta sui locali occupati dagli alunni dei seminari ecclesiastici diocesani e l’imposta è naturalmente a carico del se­minario;

b) l’ordinanza del Ministro delle finanze del 31 dicembre 1958 ha vigore per gli ecclesiastici cui spetta il fitto in base all’art. 4 del suddetto decreto e cioè dal 1959 non si assume più come base per determinare questa imposta l’aumento del fitto per l’eccedenza della superficie abitabile, bensì de generali tariffe di affitto.

 

 

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